domenica 29 novembre 2009

Jordan Wolfson 'Con Leche'_Johann König Gallery, Berlino

















Jordan Wolfson, 'Con leche', frame da video, Courtesy Johann König Gallery, Berlin


«Massa è tutto ciò che non valuta se stesso - né in bene né in male - mediante ragioni speciali, ma che si sente "come tutto il mondo", e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri»
(José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse)

Jordan Wolfson, artista americano che vive tra New York e Berlino, presenta per la sua seconda personale nella Galleria Johann König a Berlino una video-animazione dal titolo ‘Con Leche’. Il film, che dura circa 15 minuti, è composto da immagini accompagnate da una parte audio, che registra il dialogo tra l’arista e una attrice che legge un testo scritto dallo stesso Wolfson: stralci di storie, eventi di cronaca e memorie personali della società di massa, del capitalismo imperante.
Il video, proiettato a loop sulla parete nella vasta sala di fronte all’ingresso della galleria, mostra un immagine ibrida, composta da un girato documentaristico delle strade desolate di Detroit, su cui si sovrappone la sagoma disegnata e animata digitalmente di una bottiglia di ‘Diet-Coke’, con piccole gambe e piedi, inaspettatamente piena fino all’orlo di latte e non della bevanda analcolica della famiglia Coca-Cola, come ci si aspetterebbe.
Il cartone animato simula la strategia di informazione di un messaggio pubblicitario. Nel video la ‘Diet-coke’ al latte percorre le strade di Detroit, aggregandosi ad altre bottiglie sue simili. L’insieme di questa moltitudine indistinta forma una piccola armata. Le bottiglie si muovono all’unisono e indifferenti, identiche nella forma e nei movimenti, nello sfondo la fotografia del paesaggio reale della città. L’inquadratura dell’immagine, per tutta la durata del film, è alterata attraverso  una serie di effetti speciali, prodotti dalla proiezione. Il quadro dell’immagine scivola da una prospettiva regolare verso direzioni diverse, cede su un lato, oscilla, viene capovolta sottinsù.
Il piccolo esercito di bottiglie di latte, marcia all’unisono, ma senza avere una direzione precisa. Non si conosce quale sia la sua meta, se ce n’è una, o se ha un particolare obiettivo. Le ‘Diet-Coke’ al latte, che ricordano le bottiglie di latte di vetro, mostrano l’ambiguità di una figura rassicurante e allo stesso tempo perturbante.
Una voce femminile di un’attrice che recita un testo composto da alcuni frammenti che descrivono la società di massa. Il racconto ricorda un flusso di coscienza, intrecciato a notizie da copertina, interviste, diari e confessioni personali. Wolfson persegue una multimedialità del racconto che ricorda il passaggio di informazioni attraverso il web: le immagini delle modelle cocainomani sulle copertine dei gossip-magazine; il senso di insicurezza e inadeguatezza che accompagna l’artista nei confronti della sua vita; e soprattutto il ruolo dell’artista e la sua responsabilità nella società, ancora di più, oggi, in cui imperversa violenza e paura; La società di controllo interviene a tal punto nella vita dell’individuo, fino a sconvolgerlo nel profondo, cioè nella sfera più intima quella delle emozioni e dei sentimenti, come racconta il brano tratto dall’intervista ad un ragazzo omosessuale che per paura di contrastare la sua famiglia si era rassegnato a sposarsi una donna e a fingere perennemente di essere chi non è.
L’attrice è interrotta periodicamente dalla voce dell’artista, che le spiega con tono basso come lei deve intonare e modulare la voce, per leggere questa storia. In questo modo Wolfson interviene nella riproduzione del suo stesso testo, esercitando una forma di controllo sulla voce della donna, allo stesso modo in cui le immagini del film animato istigano lo spettatore nel suo subconscio ad interrogarsi  sul ruolo dell’individuo nella società di massa, ridotto quasi ad uno stato di ipnosi.
Come nel film ‘The Wall’ (1982) dei Pink Floyd, dove in ‘Another Brik in the Wall’ la realtà e l’immagine figurate si fondono e si trasformano.
Il film si sdoppia all’interno della sua stessa riproduzione, fatta da una parte parlata e di immagini. Questi due elementi sono a sua volta scomponibili: l’immagine visiva si sdoppia in un film documentaristico, le strade di Detroit, e l’animazione digitale del cartone animato. I disegni di quest’ultimo, simili ad uno spot pubblicitario all’inverso – il messaggio subliminale in questo caso non incita verso niente, ma disorienta l’osservatore –, potrebbero ricondurre ad alcune immagini dei cartoni animati della Disney.
Wolfson, che manipola elementi che appartengono all’immaginario collettivo contemporaneo, aumenta il grado di complessità della fruizione dell’opera. Utilizzando un medium che è simile a quello pubblicitario provoca l’attenzione dello spettatore che è spinto ad alzare il grado di apprendimento e comprensione.
In particolare, potrebbe evocare la storia de ‘L’Apprendista Stregone’, nel film  ‘Fantasia’ (1940), in cui Topolino si trovava a dominare e controllare inopportunamente un esercito di scope stregate e cattive.
Ma andando più a fondo, il film potrebbe anche fare riferimento a un'altra fiaba più antica, conosciuta come ‘Il Piffeario di Hamelin’ o ‘Il pifferaio magico’. La leggenda, raccontata dai fratelli Grimm, è tratta da un episodio veramente accaduto. La storia narra di un’invasione di ratti ad Hamelin in Bassa Sassonia alla fine del 1200. Un giorno si presenta in città un uomo sconosciuto che promette di disinfestarla; il borgomastro acconsente promettendo un adeguato pagamento. Non appena il Pifferaio inizia a suonare il flauto magico, i ratti restano incantati dalla sua musica e si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino alle acque del fiume Weser, dove muoiono annegati.
Gli abitanti della città, ormai liberata dai ratti, ingrati decidono di non pagare il Pifferaio. Allora per vendetta, il Pifferaio riprende a suonare mentre gli adulti sono in chiesa, attirando dietro di sé tutti i bambini della città. I centotrenta bambini lo seguono incantati in aperta campagna, dove il Pifferaio li rinchiude in una caverna. A questo punto esistono versioni diverse. Nella maggior parte, non sopravvive alcun bambino, o anche se ne salva uno solo che, zoppo, non era riuscito a tenere il passo dei suoi compagni. Poi c’è un finale più recente che introduce un lieto fine, in cui un bambino di Hamelin, sfuggito al rapimento da parte del Pifferaio, riesce a liberare i propri compagni.

Jordan Wolfson ‘con Leche’


Gallery Johann König
Dessauer Straße 6-7
10963 Berlin
T: +49.30.2610 308-0
Email: info@johannkoenig.de


Dal 24 Novembre 2009 al 9 Gennaio 2010

La galleria sarà chiusa dal 21 Dicembre 2009 al 3 Gennaio 2010


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