sabato 16 dicembre 2017

Jaguars and Electric Eels @ JULIA STOSCHEK COLLECTION, BERLIN



STURTEVANT, Finite/Infinite (2010) Courtesy of the Estate of STURTEVANT and Julia Stoschek Collection, Dusseldorf


Fin dai miei primi giorni ho sentito l'impulso di viaggiare in terre lontane raramente visitate 
dagli europei. Questo impulso caratterizza un momento in cui la nostra vita sembra aprirsi 
davanti a noi come un orizzonte senza limiti in cui nulla ci attrae più di intensi brividi mentali 
e immagini di pericolo positivo. - così Alexander von Humboldt descrive l’inizio del suo 
viaggio, nella introduzione all'ultima parte del suo libro Relation historique du voyage aux 
régions équinoxiales du nouveau continent - qualunque cosa sia lontana e suggestiva eccita la 
nostra immaginazione; tali piaceri ci tentano molto più di ogni cosa che possiamo sperimentare
 quotidianamente nello stretto cerchio della vita sedentaria.
Il piacere e l’eccitazione del viaggio sono il vero motivo della spedizione di Alexander von
Humboldt scienziato ed esploratore tedesco, vissuto tra il 700 e l’800,  più che la pallida volontá
di conoscere. - che in un certo senso, peró, giustifica anche questo piacere.
In realtá cosa rende tanto attraente l’impresa di Alexander von Humboldt per chi vive nel II 
millennio, è quello di essersi spinto oltre un certo limite, - letteralmente nelle zone torride - di 
avere rotto un codice.
Per questo motivo la sua impresa ha qualcosa in comune col fare artistico e con la meraviglia 
che l’arte porta in sé.
La mostra Jaguars and electric eels presenta 39 lavori di 30 artisti della collezione 
JULIA STOSCHEK COLLECTION a Berlino: Doug Aitken, Kader Attia, Heike Baranowsky, 
Trisha Donnelly, Juan Downey, Encyclopedia Pictura /Björk, Cyprien Gaillard, Ryan Gander, 
Manuel Graf, Cao Guimarães, Nancy Holt & Robert Smithson, Martin Honert, Donna Huanca, 
Isaac Julien, Simon Martin, Ana Mendieta, Nandipha Mntambo, Paul Pfeiffer, James Richards 
& Leslie Thornton, Ben Rivers, Natascha Sadr Haghighian, STURTEVANT, Bill Viola, Guan Xiao, 
Anicka Yi, Aaron Young.
Il video che apre la mostra è Finite/Infinite (2010) di STURTEVANT dove su una lunga parete è 
proiettato un video a loop in cui un cane nero corre su un prato. Il cane esce e rientra dalla 
scena come se corresse in circolo.
The Flavor Genome ( 2016 ) di Anicka Yi é anch'esso uno tra i primi lavori esposti. Il film, 
in 3 D e con un sistema audio surround 5.1, sfida le capacità percettive fino ai suoi limiti. 
Una serie di immagini provenienti da scenari naturali si mescolano con immagini 
microscopiche. La voce di uno scienziato racconta la storia dell’evoluzione che ha portato 
fino alla possibilità di manipolare il genoma umano tanto da essere incluso all’interno delle 
piante.
L’essere artificiale, mimetico, è una parte integrante della natura come nel video di Kader Attia
 Mimesis as resistance (2013), dove un particolare esemplare di uccello la Menura 
movellaehollandie, durante il corteggiamento, non solo canta il suo repertorio, ma imita 
anche tutti gli altri suoni e canti che ha intorno.
In Untitled (2005) di Trisha Donnelly ha creare la alterazione è l’obiettivo della camera che 
ripetutamente mette a fuoco e sfoca l’immagine che sta riprendendo: un giaguaro impagliato. 
L’animale morto ritorna in vita tramite il movimento della macchina, la vita diventa così un 
elemento puramente artificiale.
L’esposizione insiste sul fatto che non si può distinguere tra ció che é naturale e ció che é 
artificiale, ma le due cose si completano a vicenda e  sono egualitarie, come ha scritto Monika 
Kerkmann, nella  Introduzione, al piccolo e ben fatto catalogo che distribuivano all’ingresso.
Questo mi ha fatto ricordare qualcosa, che probabilmente von Humboldt conosceva. Nella  
Critica del giudizio Kant  scrive:
Di fronte a un prodotto dell’arte bella bisogna diventar consapevoli che è arte e non natura, 
ma la finalità della sua forma deve tuttavia sembrare così libera da ogni costrizione di regole 
arbitrarie come se fosse un prodotto della mera natura. […] Dunque, la finalità nel prodotto 
dell’arte bella, benché sia intenzionale, deve sembrare non intenzionale; vale a dire, l’arte 
bella deve poter essere guardata come natura, benché si sia consapevoli del fatto che è arte.
Nel video The laughing alligator (1979) di un pioniere della video arte Juan Downey, è ripresa
una popolazione autoctona, gli Yanomami della foresta amazzonica, nel sud del Venezuela. 
Nel video gli indigeni esprimono il complesso sistema di miti e credenze che costruiscono la 
loro cultura.
In questo senso viene da domandarsi se l’uomo derivi dalla natura, viva in continuità con essa e 
possa essere in continuità con essa oppure questo legame è stato interrotto per sempre. E se il 
repporto tra uomo e natura fosse stato frainteso da sempre?
 Cyprien Gaillard, Koe ( 2015), Courtesy of the artist and Julia Stoschek Collection, Dusseldorf

In Koe ( 2015) Cyprien Gaillard questo rapporto diventa una riterritorializzazione perturbante: 
uno stormo di uccelli esotici nel centro di Düsseldorf dove la specie si è inimmaginabilmente adattata.
La simulazione della realtà è invece ciò su cui insiste Natasha Sadr Haghighian in Artificial life 
(1995). Sullo schermo si vede una immagine che sembra ingrandita al microscopio ma che 
invece riproduce la polvere in un angolo della stanza, ripresa da una telecamera.
Ma il progresso tecnologico può anche essere un’illusione come nella installazione video a tre 
canali True North (2004) di Isaac Julien. Il video mostra la prima spedizione verso il Polo Nord 
nel 1909 guidata da Robert Peary e Matthew Henson. Agli inizi del 900, la missione fu vista 
come il trionfo del progresso. In realtà escludeva dal podio dei riconoscimenti tutti i membri 
della spedizione in favore di Peary. Il resoconto poetico insieme alla musica di Paul Schütze 
creano una atmosfera che si interroga sul sublime dinamico come categoria estetica. 


Isaac Julien, True North, (2004), Courtesy of the artist and St Paul Street Gallery, Auckland

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1 - Immanuel Kant, Critica della capacità di giudizio (1790), bur, Milano
2004, p. 425.

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